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L'Alchimista
L'Alchimista
Paulo Coelho
PREFAZIONE
E’ importante sottolineare come L'Alchimista sia un libro a carattere simbolico, diverso in questo da
Il diario di un mago, che non era un testo di invenzione narrativa.
Ho studiato Alchimia per undici anni. La semplice idea di trasformare i metalli in oro o di scoprire
l'Elisir di Lunga Vita era già di per se abbastanza affascinante da attrarre l'attenzione di qualunque
apprendista nel campo della Magia. Confesso che l'Elisir di Lunga Vita era comunque ciò che
esercitava su di me la maggior seduzione: ancor prima di capire e di sentire la presenza di Dio,
l'idea che un giorno tutto sarebbe finito mi rendeva disperato. Cos ì che, quando seppi della
possibilità di ottenere un liquido in grado di prolungare per lunghi anni la mia esistenza, decisi di
dedicarmi anima e corpo alla sua fabbricazione.
Era quello, inizi degli anni settanta, un periodo di grandi trasformazioni sociali e ancora non
esistevano pubblicazioni serie sull'Alchimia. Cominciai, come uno dei personaggi del libro,
spendendo quel po' di denaro che possedevo nell'acquisto di libri stranieri sull'argomento,
dedicando lunghe ore della mia giornata allo studio della loro complicata simbologia. Trovai, a Rio
de Janeiro, due o tre persone che si dedicavano seriamente alla Grande Opera: ma essi si rifiutarono
di ricevermi. Ne conobbi molte altre che si dichiaravano alchimisti, possedevano laboratori propri e
promettevano di insegnarmi i segreti dell'Arte in cambio di vere e proprie fortune. Oggi mi rendo
conto che non conoscevano nulla di ciò che pretendevano di insegnare.
Malgrado la mia dedizione, i risultati erano nulli. Non accadeva niente di ciò che, nel loro
complesso linguaggio, i manuali di Alchimia affermavano. C'erano un'infinità di simboli, di draghi,
di leoni, di soli, di lune e di mercurio, ma io avevo sempre l'impressione di essere sulla strada
sbagliata, perché il linguaggio simbolico consente un enorme margine di equivoco. Nel 1973, ormai
disperato per la mancanza di progressi, mi comportai in maniera del tutto irresponsabile. All'epoca,
lavoravo per il Segretariato di Stato per l'Istruzione del Mato Grosso e davo lezioni di teatro. Decisi
di impiegare i miei alunni in laboratori teatrali incentrati sul tema della Tavola di Smeraldo. Questo
comportamento, in concomitanza con alcune mie incursioni nell'area fumosa della Magia, mi
portarono, l'anno successivo, a sperimentare sulla mia pelle la verità del proverbio che dice: Chi la
fa, l'aspetti. Mi crollò tutto intorno.
Trascorsi i successivi sei anni della mia vita in un atteggiamento alquanto scettico per tutto quanto
riguardava l'area mistica. In questa sorta di esilio spirituale, appresi molte cose importanti: che
accettiamo una verità solo quando prima l'abbiamo negata dal profondo della nostra anima, che non
dobbiamo sfuggire al nostro destino e che la mano di Dio è infinitamente generosa, malgrado il Suo
rigore.
Nel 1981 conobbi RAM e il suo Maestro, che mi avrebbe ricondotto sul cammino tracciato per me.
E mentre quello mi addestrava con i suoi insegnamenti, io ripresi a studiare l'Alchimia per conto
mio. Una sera, mentre conversavamo dopo una esauriente seduta telepatica, gli domandai perché
mai il linguaggio degli alchimisti fosse tanto vago e complesso.
Esistono tre tipi di alchimisti, mi rispose il mio Maestro. Quelli che sono vaghi perché‚ non sanno
di che cosa stanno parlando, quelli che sono vaghi perché‚ sanno di che cosa stanno parlando, ma
sono anche consapevoli che il linguaggio dell'alchimia e un tipo di linguaggio rivolto al cuore, e
non alla ragione.
E qual è il terzo tipo? gli domandai.
Quelli che non hanno mai sentito parlare di Alchimia, ma che sono riusciti, nel corso della loro vita,
a scoprire la Pietra Filosofale.
E con ciò il mio Maestro, che apparteneva al secondo tipo, decise di darmi lezioni di Alchimia.
Scoprii così che il linguaggio simbolico, che tanto mi irritava e mi confondeva, era l'unica maniera
per poter raggiungere l'Anima del Mondo, o quello che Jung ha definito come inconscio collettivo.
Scoprii la Leggenda Personale e i Segni di Dio: verità è che il mio raziocinio rifiutava di accettare
per la loro semplicità. Scoprii che ottenere la Grande Opera non è compito di pochi, ma di tutti gli
esseri umani sulla superficie della terra. E’ chiaro che non sempre la Grande Opera si presenta sotto
forma di un uovo o di una boccetta contenente del liquido. Tutti noi, comunque, e senza alcun
dubbio, possiamo immergerci nell'Anima del Mondo.
E’ questo il motivo per cui L'Alchimista è anche un testo simbolico. Nelle sue pagine, non soltanto
ho cercato di trasmettere quanto ho appreso, ma anche di rendere omaggio a grandi scrittori che
sono riusciti a penetrare nel Linguaggio Universale: Hemingway, Blake, Borges (che si è ispirato a
una storia persiana per uno dei suoi racconti) e Malba Tahan fra gli altri.
In conclusione, e a illustrazione di ciò che il mio Maestro intendeva dire riferendosi al terzo tipo di
alchimisti, vale la pena di ricordare una storia che egli stesso mi raccontò nel suo laboratorio.
La Madonna, con il Bambino Gesù fra le braccia, aveva deciso di scendere in Terra per visitare un
monastero. Orgogliosi, tutti i monaci si misero in una lunga fila, presentandosi ciascuno davanti alla
Vergine per renderle omaggio. Uno declamò alcune poesie, un altro le mostrò le miniature che
aveva preparato per la Bibbia e un terzo recitò i nomi di tutti i santi. E così via, un monaco dopo
l'altro, tutti resero omaggio alla Madonna e al Bambino.
All'ultimo posto della fila ne rimase uno, il monaco più umile del convento, che non aveva mai
studiato i sacri testi dell'epoca. I suoi genitori erano persone semplici, che lavoravano in un vecchio
circo dei dintorni, e gli avevano insegnato soltanto a far volteggiare le palline in aria.
Quando giunse il suo turno, gli altri monaci volevano concludere l'omaggio perché‚ il povero
acrobata non aveva nulla di importante da dire e avrebbe potuto sminuire l'immagine del convento.
Ma anche lui, nel profondo del proprio cuore, sentiva un bisogno immenso di offrire qualcosa a
Gesù e alla Vergine.
Pieno di vergogna, sentendosi oggetto degli sguardi di riprovazione dei confratelli, tirò fuori dalla
tasca alcune arance e cominciò a farle volteggiare: perché‚ era l'unica cosa che egli sapesse fare.
Fu solo in quell'istante che Gesù Bambino sorrise e cominciò a battere le mani in braccio alla
Madonna. E fu verso quel monaco che la Vergine tese le braccia, lasciandogli tenere per un po' il
bambinello.
L'Autore
“Mentre erano in cammino, entrarono in un villaggio e una donna, di nome Marta,
lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale,
sedutasi ai piedi del Signore, ascoltava la Sua parola. Marta invece era
tutta presa dai molti servizi. Pertanto, avvicinatasi a Gesù, disse Signore,
non ti curi del fatto che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille
dunque che mi aiuti! Ma Gesù le rispose Marta, Marta, tu ti affanni per troppe
cose. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta.”
Luca, 10, 38-42
PROLOGO
L'Alchimista prese un libro, portato da qualcuno della carovana. Il volume era privo di copertina,
ma lui riuscì a identificarne l'autore: Oscar Wilde.
Mentre sfogliava le pagine, trovò una storia su Narciso.
L'Alchimista conosceva la leggenda di Narciso, un bel giovane che tutti i giorni andava a
contemplare la propria bellezza in un lago. Era talmente affascinato da se stesso che un giorno
scivolò e morì annegato. Nel punto in cui cadde nacque un fiore, che fu chiamato narciso.
Ma non era così che Oscar Wilde concludeva la storia.
Egli narrava invece che, quando Narciso morì, accorsero le Oreadi - le ninfe del bosco - e videro il
lago trasformato da una pozza di acqua dolce in una brocca di lacrime salate.
“Perché piangi?” domandarono le Oreadi.
“Piango per Narciso” disse il lago.
“Non ci stupisce che tu pianga per Narciso”, soggiunsero. “Infatti, mentre noi tutte lo abbiamo
sempre rincorso per il bosco, tu eri l'unico ad avere la possibilità di contemplare da vicino la sua
bellezza.”
“Ma Narciso era bello?” domandò il lago.
“Chi altri meglio di te potrebbe saperlo?” risposero, sorprese, le Oreadi. “In fin dei conti, era sulle
tue sponde che Narciso si sporgeva tutti i giorni.”
Il lago rimase per un po' in silenzio. Infine disse:
“Io piango per Narciso, ma non mi ero mai accorto che fosse bello. Piango per Narciso perché, tutte
le volte che lui si sdraiava sulle mie sponde, io potevo vedere riflessa nel fondo dei suoi occhi la
mia bellezza.” “Che bella storia!” disse l'Alchimista.
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