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Stampato in: Il testo fa scuola. Libri di testo, linguaggi ed educazio-
ne linguistica. Atti dell'VIII Convegno GISCEL. A cura di Rosa Calò e
Silvana Ferreri. 1997, Firenze: La Nuova Italia. 109-130.
Giuliana Fiorentino (GISCEL Campania)
Quale italiano parlano le grammatiche?
1. Introduzione
L’obiettivo che ci proponiamo è indagare come siano filtrate nei manuali scolastici di in-
segnamento della lingua italiana alcune delle più recenti riflessioni della linguistica sulla variabili-
tà della lingua.
L’indagine che abbiamo svolto scaturisce dall’ipotesi:
- che il testo di grammatica fornisca ancora un’immagine statica e irrigidita della lingua, igno-
rando quindi l’intrinseca variabilità dell’oggetto descritto;
- che si continui a privilegiare l’educazione alla abilità dello scrivere, trascurando quella del
parlare, come si evince dalla mancanza di un’attenta riflessione sulle differenze tra lingua scritta e
lingua parlata;
- che invece dalla riflessione sulla variabilità della lingua possano scaturire conseguenze pre-
ziose per un’educazione linguistica che miri a creare una competenza comunicativa e non solo
linguistica.
Il problema della variabilità chiama in causa a sua volta quello della definizione di standard o
norma e di quale sia l’oggetto che le grammatiche descrivono. Si tratta cioè di verificare se le
grammatiche pongano chiaramente il problema di quale sia lo standard di riferimento e se indi-
chino la possibilità che in qualche caso esista uno standard parlato diverso da quello scritto.
Per questa analisi ci sono sembrati significativi i seguenti indicatori:
1) presenza di una dichiarazione esplicita dell’esistenza di più varietà di italiano e definizione
di quella che si descrive nella grammatica;
2) modo in cui è trattata la variabilità;
3) modo in cui sono organizzati gli apparati operativi sul tema della variabilità. 1
2. Definizione di variabilità e varietà linguistiche
La prima dimensione a cui si pensa quando si parla di variabilità delle lingue è quella diacro-
nica: le lingue cambiano nel tempo e spesso sono legate da rapporti di derivazione. Ma esistono
anche altre dimensioni della variabilità che si manifestano in sincronia.
In linguistica si parla di variabilità diatopica per riferirsi alla variabilità connessa con la pro-
venienza geografica dei parlanti. La variabilità diastratica è da mettere in relazione con il
gruppo sociale a cui appartengono i parlanti (o anche con la posizione che il parlante assume
entro la stratificazione sociale). La variabilità diafasica è legata alla situazione o contesto en-
1 Le grammatiche che compongono il nostro campione sono 10: 5 per ogni ordine della scuola secondaria.
Esse sono state scelte in base alla diffusione sul territorio nazionale. L’elenco alfabetico si trova nella bi-
bliografia.
tro cui avviene la comunicazione. La variabilità diamesica infine è collegata al "mezzo fisi-
co-ambientale, al canale attraverso cui la lingua viene usata" (Berruto 1993a: 9).
Nel modello di Berruto le quattro dimensioni di variabilità sono rappresentate come al-
trettanti assi di variazione intersecanti, lungo i quali si dispongono le varietà dell’italiano (cfr. la
tavola in Berruto 1993a: 12).
Per l’italiano l’asse diatopico è costituito dalle varietà di italiani regionali e dai dialetti. L’asse
diastratico è formato da varietà come il cosiddetto italiano popolare (che si colloca al livello
basso della scala sociale) e, all’altro estremo della scala, dall’italiano colto che rappresenta la
varietà standard. Sono considerate parte delle varietà diastratiche o comunque socialmente i-
dentificate le varietà legate alle variabili sociolinguistiche classiche (grado di cultura e istruzione,
età, sesso, ecc.), quindi rientrano sotto questa etichetta le varietà giovanili. Le lingue speciali
o settoriali legate a professioni e quindi anche a gruppi sociali specifici e i gerghi si identificano
in base al contesto, alla situazione e all’argomento trattato e quindi appartengono al repertorio
delle varietà diafasiche. Queste ultime infatti raccolgono due tipi di varietà i "«registri» ... dipen-
denti primariamente dal carattere dell’interazione e dal ruolo reciproco assunto da parlante (o
scrivente) e destinatario, e «sottocodici» o «lingue speciali» le varietà diafasiche dipendenti pri-
mariamente dall’argomento del discorso e dall’ambito esperienziale di riferimento" (Berruto
1993b: 70). I registri vengono valutati in base al grado di formalità della situazione comunicativa
e risultano essere a loro volta più o meno formali.
Con la tabella che segue presentiamo lo schema riassuntivo delle varietà dell’italiano: 2
VARIABILITÀ
VARIABILE
VARIETÀ
diacronia
tempo
latino > italiano,
italiano di varie epoche
diatopia
spazio
dialetti
italiani regionali
lingue delle minoranze
diafasia
situazione
registri (formali - informali)
gerghi
professioni,
discipline
linguaggi settoriali
o professionali
diastratia
classe sociale
cultura
italiano popolare
italiano colto
Età
varietà giovanili
diamesia
canale
scritto-parlato
parlato trasmesso
2.1 Italiano standard
2 Non trattiamo la variabilità della lingua in base alle funzioni (emotiva, fàtica, ecc.) o agli scopi dell’atto co-
municativo ( persuadere, ordinare, esprimere dubbio, ecc.) perché queste variabili non danno luogo a varie-
tà della lingua ma si manifestano in alcuni aspetti specifici (ad esempio la funzione fàtica della lingua si evi-
denzia nei saluti, la forza illocutiva dell’atto linguistico si esprime, tra l’altro, nel variare del modo verbale
(l’imperativo corrisponde alla forza illocutiva del comando, il condizionale può manifestare il dubbio, ecc.) o
dell’intonazione).
2
10463080.003.png 10463080.004.png 10463080.005.png 10463080.006.png
Una volta che si sia chiarita la pluridimensionalità della variabilità delle lingue si può collocare
nella luce adeguata la questione di che cosa sia lo standard.
Secondo Berruto (1993b:84-85) si possono individuare almeno tre nozioni di standard, so-
vrapponibili, ma non del tutto intercambiabili: standard come italiano neutro (ossia non mar-
cato su nessuna delle dimensioni di variazione ); standard come italiano normativo, codifi-
cato dai manuali e dalla tradizione scolastica, accettato come corretto e «buona lingua»;
standard come italiano comune, ossia statisticamente più diffuso.
Le grammatiche dovrebbero fare riferimento alla variabilità come tratto intrinseco delle lin-
gue. Da qui dovrebbe poi scaturire la necessità di disporre di una varietà di riferimento per l’uso
formale, elevato, che perlopiù è quello usato nello scritto e di cui le grammatiche si sforzano di
descrivere le caratteristiche. Solo a partire da queste premesse ha senso che le grammatiche se-
gnalino usi che si discostano più o meno vistosamente dalla norma e che respingano realizzazioni
che si incontrano, ad esempio nella lingua parlata o comunque nel livello informale o nel registro
colloquiale. Le grammatiche potrebbero così evitare un’impostazione puristica e sanzionatoria
nel presentare i cosiddetti ‘errori’, almeno quando si tratta di fenomeni ampiamente tollerati nel-
la varietà parlata della lingua (che fanno parte del cosiddetto italiano dell’uso medio) e in via di
espansione. In altre parole l’insegnamento della grammatica dovrebbe fondarsi su basi non rigi-
damente prescrittive e dovrebbe aiutare ad orientarsi rispetto alle diverse esigenze della comu-
nicazione. Insegnare, ad esempio a differenziare la propria espressione linguistica e a renderla
adeguata alla formalità della situazione è un esercizio che si può attuare solo a patto di conosce-
re l’esistenza di più variabili in alternanza e il loro diverso valore pragmatico.
3. Riferimento esplicito alla variabilità delle lingue
Il nostro primo indicatore, che riguarda il riferimento alla variabilità delle lingue e l’indicazione
di una scelta circa la varietà di italiano descritta dalla grammatica, è stato analizzato a partire
dalle Premesse ai testi.
Sette testi su dieci accennano in qualche modo al tema della variabilità. Solo uno fa ri-
ferimento al problema della norma e al rapporto che intercorre tra l’italiano normativo e le altre
varietà.
In un testo viene detto che obiettivo del libro è portare lo studente a prendere atto delle
formidabili risorse della lingua e a utilizzarle in rapporto alle varie situazioni comunicati-
ve - attive o passive . Si distingue in modo netto tra lo studio tradizionale della lingua intesa
come codice (che corrisponde all’insegnamento tradizionale della grammatica, articolato in fo-
nologia, morfologia, sintassi, lessicologia) e lo studio della lingua intesa come strumento di co-
municazione (con riferimento quindi alla variabilità). Questa scelta abbastanza chiara si proietta
nell’organizzazione del testo così che un’intera sezione del libro è intitolata L’italiano, una lin-
gua fatta di tante lingue: le varietà della lingua italiana . I singoli capitoli della sezione ri-
chiamano esplicitamente il mutare della lingua rispetto a diverse variabili: tempo, spazio, situa-
zioni, professioni, mezzo.
In un altro testo si indica come obiettivo della grammatica il fornire agli allievi gli strumenti
per raggiungere una padronanza della lingua, ossia un’abilità articolata che comprenda oltre alla
conoscenza delle norme, la capacità di selezionare e di utilizzare le diverse varietà della
lingua a ,seconda delle situazioni e degli scopi comunicativi. La capacità espressiva a cui
3
deve pervenire l’allievo è definita adeguata (quindi il riferimento è all’uso) oltre che corretta.
Infine si fa riferimento all’acquisizione da parte dell’allievo di un metodo di analisi delle strut-
ture linguistiche, onde permettergli di superare il concetto stesso di regola e quindi di er-
rore.
Per un altro autore la grammatica è una guida per la comunicazione verbale e per il com-
portamento espressivo in tutti i loro aspetti/i e ha l’obiettivo di descrivere soprattutto il
funzionamento del sistema della lingua (dove per lingua si intende lingua reale, articolata in
funzioni, livelli e registri ). A questa affermazione segue coerentemente nei capitoli successivi
l’esplicita affermazione che l’italiano si articola in una varietà di linguaggi in base a provenienza
geografica, classe sociale, vari settori di attività, funzioni, contesti comunicativi, usi dei
singoli parlanti. La definizione di una lingua media o standard o comune che è la varietà
fondamentale dell’italiano e che è quella di cui il libro descrive fonologia, morfologia e sintassi
viene data però molto più avanti nel testo.
Infine una grammatica del biennio si pone come obiettivo la riflessione sistematica sulla lingua
(su fonologia, morfologia e sintassi) allo scopo di promuovere un’interpretazione il più pos-
sibile esaustiva del testo . Si specifica poi che la riflessione sulla lingua dovrà essere attenta sia
alla descrizione normativa sia all’uso vivo della lingua, che è quello che detta la norma. Solo in
questo testo si pone esplicitamente il problema di quale modello di italiano proporre allo studio
dei discenti. Si parla di un italiano reale inteso come risultante di una serie di componenti (lin-
gua letteraria, lingua dei media, varietà regionali, lingua dei giovani, linguaggi settoriali e gerghi).
In conclusione si nota che le grammatiche sono ormai orientate a misurarsi con la variabilità
linguistica e a proporla come dato su cui esercitare la riflessione linguistica dei discenti. La man-
canza di un’enfasi eccessiva su questo punto confermerebbe che l’argomento rientra a pieno ti-
tolo nei presupposti teorici di una grammatica. L’assenza però di indicazioni sul problema della
norma e su cosa descrivano le grammatiche lascia perplessi Si tratta poi di valutare come, aldilà
dei propositi, la questione venga affrontata nel testo. 3
4. Organizzazione del testo e spazio dedicato alla variabilità
L’analisi del nostro secondo indicatore è abbastanza complessa soprattutto perché è difficile
individuare criteri misurabili in base a cui confrontare i testi in modo oggettivo.
La maggior parte delle grammatiche prevede una sezione riservata a temi diversi tra cui rien-
trano quelli che qui ci interessano. Alcuni cenni alla variabilità possono trovarsi nei capitoli dedi-
cati alle 4 abilità di base. Ma più spesso in questi ultimi si affronta la produzione e comprensione
di testi.
4.1 Variabilità diacronica
Tutte le grammatiche del campione trattano la variabilità diacronica. In genere l’argomento è
articolato in due parti: la prima affronta l’origine dell’italiano dal latino e la seconda la storia
dell’italiano attraverso la progressiva affermazione del volgare fiorentino e infine la sua elezione
a lingua ufficiale dell’Italia.
3 Ancora diversa poi è la questione di verificare come vengano tradotti gli stimoli offerti dai libri di testo nel-
la prassi didattica.
4
Vediamo innanzitutto il numero di pagine utilizzato per questi argomenti rispetto al totale del
libro: 4
medie inferiori
biennio superiore
pag/totale perc.
pag/totale perc.
30/847 3.5%
19/913 2.0%
44/1062 4.1%
13/640 2.0%
20/863 2.3%
4/470 0.8%
48/1055 4.5%
20/736 2.7%
16/815 1.9%
27/700 3.8%
Il confronto latino- italiano viene proposto in genere sotto una duplice veste: da un lato si ac-
cenna ai mutamenti che hanno comportato trasformazioni morfologiche e sintattiche (perdita
della flessione, sviluppo delle preposizioni e fissarsi dell’ordine delle parole) e dall’altro alla con-
tinuità del latino nell’italiano, soprattutto per quanto riguarda il lessico.
Molti autori accennano alla doppia origine di alcuni vocaboli (popolare, continuata diret-
tamente dal latino parlato e dotta, ripresa dal latino in epoche successive) o ai mutamenti del si-
gnificato di parole che hanno conservato solo la forma latina. Non manca quasi mai una rubrica
sulle parole ed espressioni latine che sopravvivono immutate nell’italiano attuale ( gratis, iter,
curriculum, ecc.).
Alcuni testi pongono l’accento sul fatto che l’italiano e le lingue romanze derivano dal latino
parlato e non da quello letterario. Questa affermazione però resta in parte sottoutilizzata in
quanto non viene collegata al fatto che oralità e scrittura si contrappongono sempre come mo-
dalità dell’espressione e della comunicazione. La riflessione non si spinge in profondità a valuta-
re come le differenze tra scritto e parlato sono in parte degli universali linguistici né tantomemo si
pensa di collegare questa riflessione con quella della differenza che anche oggi si registra tra ita-
liano scritto e parlato.
Si è notato inoltre che alcuni autori riducono la riflessione sul mutamento diacronico quasi
esclusivamente al lessico. La variazione della morfosintassi e l’evoluzione di una lingua da un ti-
po ad un altro è invece trascurata. Certamente il mutamento del lessico è un dato che più facil-
mente si può controllare (ad esempio col ricorso al dizionario) e risulta più evidente anche a
persone relativamente inesperte. Né ci si nasconde la difficoltà ad introdurre un confronto si-
stematico col latino laddove esso non si insegna più in tale modo. Ciononostante la riflessione
approfondita sulle trasformazioni morfosintattiche che possono intervenire nel tempo in una lin-
gua può contribuire efficacemente a far accettare un maggiore relativismo linguistico ed una
maggiore elasticità nel valutare le strutture della lingua ed entrambi sono requisiti necessari per
accostarsi allo studio di una lingua diversa.
Il capitolo che tratta la storia linguistica italiana spesso si avvale di una presentazione di testi
di varie epoche (perlopiù letterari) allo scopo di far rilevare i cambiamenti via via intervenuti nel
fiorentino fino al suo affermarsi come lingua unitaria nazionale. Anche questa parte dedicata
all’evoluzione del volgare fiorentino è piuttosto discorsiva.
4 Nel totale delle pagine abbiamo contato anche quelle riservate agli esercizi.
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